giovedì 25 ottobre 2012

scrivere per negoziare con le ombre







Una single attempata ha bisogno di certezze, poche ma buone.
Inizierei a snocciolarne subito una scegliendo un incipit lapalissiano:
La 50nne single oggi è più ottimista rispetto alle colleghe 60nni ma consapevole delle chances in meno rispetto alle 40nni.
E se bastassero queste catalanate per dirsi più serene, saremmo a buon punto.
Ma, ovviamente, non è così.

Nello specifico, iniziamo dal caso più tragico. Quello della single 50nne di formazione sinistrese -leggi: che non ha mai ceduto alle lusinghe del tacco e del tajellerino versione hostess, di media cultura, con la giusta autoreferenzialità dettata dall’assenza di modelli imitativi, cioè la donna che un tempo si usava definire “compagna” ma che, in realtà, di veri compagni e vere compagnie ne ha trovati ben pochi. Stiamo parlando di quella che, appena la vedi, non ti dà certo l’aria della leggerezza e dell’abbordabilità, pur essendo esteticamente piacevole.
In sintesi quella a cui manca la morbidezza della femmina. A cui manca la sinuosità di quelle che sono considerate le antiche leve del mondo.
Un giorno sì ed uno no pensa con assoluta convinzione che “diverso” è bello. Che il matrimonio lasciatosi alle spalle era assolutamente inevitabile per assunto ideologico dettato dalla non ipocrisia.
Camminando per strada vede coppie tenute assieme, glielo si legge in viso, dalla rata comune della casa o dalla suocera convivente che aiuta a sbarcare il lunario. Insomma quelle coppie che hanno manette invisibili ai polsi e che più frequentemente incontri nei centri commerciali, loro luogo culto di attività sociale.
La single li riconosce soprattutto dagli sguardi. Nelle coppie sfatte quello di lei volgono verso il cielo in segno di smadonnamento e quelli di lui si poggiano distrattamente sul tuo seno.
La single 50nne del tipo rigidino crede che fino alla fine dei giorni si debba essere se stesse, quindi possibilmente niente trucco, scarpe e tutto ciò che possa assomigliare ad una mise femminile lasciano spazio ai consueti tacchi bassi (meglio ancora se scarpe con carrarmato), ai soliti jeans e ai capelli trattamento faidate dopo visione film di Dario Argento. Di quelle che vanno al cinema o da sole o con le amiche e si fanno lustro di seguire i dibattiti non necessariamente essendo più fedele ad un’ideologia.
Ci sono due modi fondamentalmente per leggere questo affresco di donna. Uno al maschile (e certamente dirà: ecco, questa è la classica tipa che me lo fa ammosciare) ed una al femminile (ecco questa è la donna che sa star bene con se stessa e non smania pur di accompagnarsi a chicchessia, se potessi anche io stò bifolco di marito lo manderei a cagare).
Ma i condizionamenti sociali influenzano anche chi presume di esserne immune. Ad un tratto, ci si guarda allo specchio e ci si scopre a vedersi in altro modo. I capelli sconnessi, adorati sino alla sera prima, le rughe dette codice a barra, la cinta che slitta al foro precedente, fanno gridare alla catastrofe. D’un tratto si scopre di avere l’età che si ha. Ed è una costatazione che non si può ricacciare indietro.
Si inizia col poggiare lo sguardo sul mondo con altra attenzione. Al supermercato si sbircia il tipo da solo in fila per individuarne la fede, per strada si scopre che c’è un’esercito di donne tutte ormai indistinguibili ma tutte belle,  noti improvvisamente che hanno tutte capelli curati, mani laccate, un segno di femmina addosso.
Abbassi lo sguardo e d’improvviso vorresti far scomparire le scarpe da tennis adorate ma consunte, vorresti una bacchetta magica per trasformare il tuo look vetero in qualcosa che ti faccia sentire parte della tappezzeria di cui è adornato il mondo. Invece ti senti un cuscino demodè. E constati che il maschietto della fila della spesa ha istintivamente la propensione a girarsi verso la bocca rossa della fila accanto piuttosto che verso di te.
Ma cosa accade alla siffatta 50nne quando, dopo l’esilio post separazione, decide di riprovare a cimentarsi in una storia che abbia i presupposti di io te e le rose? Giacchè in ogni cuore di donna pulsa romanticamente sempre l’ideale del grande amore.
Non necessariamente una storia inizia perché si vede realmente la persona di sesso opposto per quel che è. Anzi. La scarsa disinvoltura nelle relazioni con un soggetto di genere maschile, visto sotto forma di “preda”, data dalla distanza temporale, crea l’effetto miopia. Non si è assolutamente in grado di capire se la persona prescelta sia quella giusta perché, quasi sempre, a interrompere il sodalizio tra sé e sé, cioè a determinare la fine di quella beata solitudine in cui si pranza e si cena stravaccati sul divano,  si gira per casa conciate come l’omino michelin, è quasi sempre scaturito da un evento esterno. Bello o brutto che sia, generalmente brutto, di perdita, di assenza. Insomma da qualcosa che turba l’equilibro consolidato.

Ed è così che la 50nne single, costretta ad accettare il rischio di rimorchio, indossa mentalmente la tenuta di Sturmtruppen e parte per la nuova storia come fosse una missione in guerra. Allega a corredo di se stessa una lista lunga sulle cose assolutamente da evitare, allerta il partner circa le paure, le ipocondrie, le batoste all’attivo e, così illustrato si “abbandona”, per modo di dire, alla relazione come stesse dando il consenso all’espianto degli organi.

Va da sé che questo atteggiamento è quanto di meno seduttivo possa esistere. Ma la single 50nne non sceglie di abbandonare la comoda mise da omino  michelin per chicchessia. Sceglie, con un masochismo inconscio, di accompagnarsi al prototipo di ex sessantottino, il meno rassicurante che la piazza offra, quello che sprizza inquietudine da tutti i pori, magari mai sposato (sono i peggio!). Insomma l’eterno insicuro e irrisolto. Ma è anche un fatto di affinità. Altrimenti con chi andare al cinema a vedere la rassegna di film bulgari che fanno tanto impegnato in questa epoca di disimpegno? Con un’altra tipologia di uomo ti toccherebbe vedere 007.
Ma scopri che il compagno si comporta esattamente come i prototipi della propria specie. Anche lui viene catalizzato dalle labbra rosse e poggia lo sguardo altezza seno. E ti sembra ancora più demoralizzante, soprattutto perché, anzi, ti consiglia con fare disinvolto: ma perché tesoro non ti lasci crescere i capelli bianchi piuttosto che fare la tinta ogni venti giorni? E intanto gira furtivo l’occhio verso la rossa poggiata sul tacchetto alto. Grrrrrrr.

Quando si incappa nel giorno “no”, la single in questione viene presa da lucida follia.
Entra in un negozio di scarpe. Chiede di provare scarpe a tacco moderatamente alto perché sente che inevitabilmente qualche sacrificio sull’altare dell’apparenza deve pur farlo.
Si slaccia gli scarponi, lasciando intravedere i calzettoni, e nel mentre si sente decisamente out.
Calza la scarpetta nemmeno fosse una protesi ortopedica e vi si erge con fare fintamente disinvolto.
Allo specchio trova riflessa una sagoma che ondeggia sgraziata, barcollante, che avanza con fare da orango. Ma decisamente si trova irresistibile. La lunga gamba prende improvvisamente slancio, tutto entra in armonia con la bellezza. Decidi di comprarle per tenerle riposte nell’armadio. Impossibile camminarci senza avere una badante al fianco.
La single 50nne di questa tipologia è anche definibile come: calzino spaiato.
Un calzino spaiato non necessariamente è spaiato, cioè senza il compagno di “piede”. Sentirsi calzini spaiati è uno stato d'animo che ti fa sentire mai presente nel presente, mai perfettamente intonato al resto del guardaroba. Status certamente variabile a seconda del periodo che si attraversa ma.. non solo. E' a quel «non solo» che proviamo a dare contorno.

E’ vero, amare è facile, specie per noi donne, Ma essere amati è più complicato.
La donna è capace di contenere. Con-tenere. Tenere in sé. Le è congeniale perché contiene nel grembo la vita, perché contiene il fallo, perché ha una modalità di pensiero, modellato dalla cultura e dalla genotipicità, che le ha insegnato a dare alloggio emotivo e non solo. Per puro desiderio di contenere.
Quindi spesso la donna è capace, diversamente dall’uomo, di far posto dentro di sé all’altro. Anche alle manchevolezze. E questo è quello che è più prossimo al concetto di amore.