La nostra
società può essere definita come un feudo all’aria condizionata. Il
nostro cervello accoglie il “nuovo”, il tecnologico come miglioria. Ma,
finché si parlava di lavatrice questa tecnologia aveva la funzione di
sollevare la fatica soprattutto femminile, e potrei citare mille altri
esempi innovativi volti al “buono”. Ma la tecnologia è andata ben oltre,
una volta scoperto che certi mezzi, specialmente legati alla
comunicazione, sono tecniche di controllo sociale, quindi logiche di
potere.
La tecnologia offre possibilità e limitazioni. Ma il suo uso,
quando prevale, si sostituisce alle nostre funzioni “non tecnologiche”.
Come dire che senza numero memorizzato sul cellulare noi non siamo in
grado di imparare a memoria il numero – o meglio, sappiamo ancora farlo
ma siamo disabituati dal farlo, e così il leggere pagina per pagina un
libro. Perché farlo se internet ti dà la sintesi immediata? Il problema è
che internet dà potere. Di conoscenza spicciola, di relazioni
spicciole, di velocità idiota. Ma pur sempre una forma di potere. Da
schiavi, ma pur sempre una forma di “protagonismo”.
Il danno di
queste relazioni orizzontali e virtuali è quello di dimenticare le
emozioni, le percezioni tattili, olfattive, sensoriali, emotive
liquefacendole sull’altare dello schermo.
E creando una potenza
immaginaria ed illusoria tutta volta alla distrazione e alle
interruzioni cognitive. E così siamo in-formati ma non formati,
digeriamo pillole di fatterelli ma non sappiamo più contestualizzarli in
una analisi più generale. Sappiamo tutto sul particolare ma nulla del
generale.
La consapevolezza di “qualcosa“ non necessariamente indica la strada del cambiamento o della trasformazione.
Per mettere in atto il “cum sapere“ c'è necessità di leggere il termine
cum come con, insieme, in relazione. Altrimenti si rischia di isolarsi
nel proprio sapere. Altra necessaria considerazione è che per porsi in
relazione c'è bisogno di reciprocità, quindi di ascolto. E, oggigiorno, i
tempi dell'ascolto sono inesistenti. Così come quelli della
riflessione, figuriamoci quella della comunanza consapevole. Anzi, i
luoghi ed i tempi dell'ascolto sono vanificati dal troppo “rumore”,
dalla ridondanza di affermazioni che ci vengono propinate.
Ora, dato
che la consapevolezza di qualcosa deve necessariamente trovare alloggio
nella sua applicazione, altrimenti si riduce a teoria se non ha
capacità di messa in atto e questa applicazione deve essere collettiva,
non isolata a sé, altrimenti troverebbe solo testimonianza di
pacificazione della propria coscienza.