sabato 15 marzo 2014

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La nostra società può essere definita come un feudo all’aria condizionata. Il nostro cervello accoglie il “nuovo”, il tecnologico come miglioria. Ma, finché si parlava di lavatrice questa tecnologia aveva la funzione di sollevare la fatica soprattutto femminile, e potrei citare mille altri esempi innovativi volti al “buono”. Ma la tecnologia è andata ben oltre, una volta scoperto che certi mezzi, specialmente legati alla comunicazione, sono tecniche di controllo sociale, quindi logiche di potere.
La tecnologia offre possibilità e limitazioni. Ma il suo uso, quando prevale, si sostituisce alle nostre funzioni “non tecnologiche”. Come dire che senza numero memorizzato sul cellulare noi non siamo in grado di imparare a memoria il numero – o meglio, sappiamo ancora farlo ma siamo disabituati dal farlo, e così il leggere pagina per pagina un libro. Perché farlo se internet ti dà la sintesi immediata? Il problema è che internet dà potere. Di conoscenza spicciola, di relazioni spicciole, di velocità idiota. Ma pur sempre una forma di potere. Da schiavi, ma pur sempre una forma di “protagonismo”.
Il danno di queste relazioni orizzontali e virtuali è quello di dimenticare le emozioni, le percezioni tattili, olfattive, sensoriali, emotive liquefacendole sull’altare dello schermo.
E creando una potenza immaginaria ed illusoria tutta volta alla distrazione e alle interruzioni cognitive. E così siamo in-formati ma non formati, digeriamo pillole di fatterelli ma non sappiamo più contestualizzarli in una analisi più generale. Sappiamo tutto sul particolare ma nulla del generale.

La consapevolezza di “qualcosa“ non necessariamente indica la strada del cambiamento o della trasformazione.
Per mettere in atto il “cum sapere“ c'è necessità di leggere il termine cum come con, insieme, in relazione. Altrimenti si rischia di isolarsi nel proprio sapere. Altra necessaria considerazione è che per porsi in relazione c'è bisogno di reciprocità, quindi di ascolto. E, oggigiorno, i tempi dell'ascolto sono inesistenti. Così come quelli della riflessione, figuriamoci quella della comunanza consapevole. Anzi, i luoghi ed i tempi dell'ascolto sono vanificati dal troppo “rumore”, dalla ridondanza di affermazioni che ci vengono propinate.
Ora, dato che la consapevolezza di qualcosa deve necessariamente trovare alloggio nella sua applicazione, altrimenti si riduce a teoria se non ha capacità di messa in atto e questa applicazione deve essere collettiva, non isolata a sé, altrimenti troverebbe solo testimonianza di pacificazione della propria coscienza.

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